OMAGGIO A PONCE DE LEON
OMAGGIO A PONCE DE LEON
I BECCACCINI DELL’ AVVOCATO
Il fascino di un selvatico simbolo. A lui è dedicato un club che fu tra i più esclusivi ed ebbe fra i promotori e presidenti Adelio Ponce de Leon.
«Una botta di stocco nel zig zag
del beccaccino
si librano piume su uno scrimolo
Poi discendendo là, fra sgorbiature
di rami al freddo balsamo del fiume”
Eugenio Montale
I beccaccini dell’inverno son tutti un po’ gobbi. Pedinano lungo i fossati, ben stretti nei loro pastrani di piume, come volessero specchiarsi nelle pozze d’acqua per misurare il becco. Lo fanno, dicevano i miei vecchi, per ascoltare se nel terreno ci sono i vermi. Ma i miei vecchi ripetevano quello che avevano sentito dai loro vecchi e non dal professor Danilo Mainardi convinto (e convincente) che facciano così per risparmiare calore e rendersi ancor meno visibili. Perché in quelle giornate dove non vedi a un tiro di schioppo anche loro paiono di nebbia ed è il colore dei giorni che vagano in attesa della sera perché han perso la memoria del sole. Son quelle ore in cui respiri nell’aria la tristezza leggera che chiami malinconia e solo cane e beccaccini possono fartela dimenticare.
Se li metti sulle ali se ne vanno radenti alle stoppie come ne avessero già nostalgia, poi si alzano nel cielo come nessun altro uccello è capace e lanciano quel loro verso che noi cacciatori chiamiamo bacio.
“Quando lo senti, mi ripeteva il grande Adelio Ponce de Leon, l’Avvocato per i cacciatori, son già lontani e significa che hai sbagliato qualcosa”: facile dirlo per lui che era presidente del club più esclusivo d’Italia e la caccia al beccaccino l’aveva imparata dai grandi maestri fra cui Giacomo Griziotti, Paolo Ciceri e Giulio Colombo, giudici cinofili oramai nella storia ed Angelo Pedretti superlativo conoscitori di bracchi.
Ed è ancor più facile affermarlo oggi perché i rari beccaccini non trovano più le marcite, tantochè le poche rimaste sono salvaguardate come fossero da museo e ci portano gli scolari in gita e le stoppie vengono rasate a fil di terra. Son pochi davvero non per le fucilate ma perché gli han tolto il terreno da sotto il becco e le zampe. Proprio come aveva previsto l’Avvocato che, insieme a Giuseppe Negri gran direttore di Caccia & Pesca ottenne nel 1975 che nella legge lombarda, apripista nell’Italia delle Regioni per la caccia, fosse proibita la cattura dei beccaccini da appostamento. I cacciatori compresero e furono tutti con lui e plaudirono poi alla donazione, come grazia ricevuta, di quella tela che raffigura la Madonna del Beccaccino, perché Gesù in braccio alla madre ne stringe uno, ed è centro di devozione in una chiesa della Lomellina, in quel di Pavia.
Nonostante l’ambiente nemico però i beccaccini continuano ad accendere la scintilla della caccia ed incontrarne alcuni in una mattinata val quasi l’intera stagione. Perchè hai un bel dire ma il beccaccino che attraversa fine estate e l’intero autunno portando sulle ali il fascino malinconico della stagione che non vuol cedere all’inverno è, nella caccia provvisoria dei ripopolamenti, un miracolo. Sopravvissuto a calure e temporali ogni giorno affronta un duello con il freddo che costringe i lombrichi a celarsi nella terra e le chiocciole a rimanere nel guscio. Per lui la ricerca di cibo non ha mai fine perché non ce n’è mai abbastanza e se il giorno è stato piovigginoso lo trovi la sera a cercar di metter qualcosa nel piatto. E lo fa con quel suo becco prodigioso appena più corto delle zampe e che in punta si divarica fino all’inverosimile ed è stupefacente constatare che in questo modo cattura gli invertebrati nascosti nel fango. Facile farlo in agosto quando tutti i fossati riardono, la palude si riduce in confini e profondità e persino i lombrichi sono straniti dalla luce. Proprio come accade dai giorni del solleone a quelli dell’estate dei morti quando il passo vive gli ultimi trionfi, le lodole celebrano nel cielo Santa Teresa, le pispole sembrano girare senza meta e le avanguardie delle cesene valicano gli Appennini e sono così magre dal viaggio che paiono tordi cresciuti un po’ di più. La vera stagione del beccaccino comincia proprio allora ed ogni giorno è da incorniciare anche se la pagina del diario rimane desolatamente bianca. Semmai hanno voce il sibilo della tramontana, anche lei venuta dai monti o del grecale e del maestrale: tutti venti del freddo, della neve e del ghiaccio nei fossati e nelle rive di acque morte. E’ questa la stagione, non scritta su alcun calendario, del beccaccinista: arrivano i primi migratori tallonati dal freddo e paiono le staffette dell’inverno. Hanno il vento sulla coda dicevano i vecchi ed anche il professor Danilo Mainardi, c’è da giurarlo, se ne direbbe convinto se fosse interpellato. “Hanno il becco continuamente a terra – scrive l’avvocato – senza che si possa dire con esattezza ciò che mangi: non si trova nel suo stomaco che residuo liquame che apparentemente rappresenta la sostanza fusa dei vermi di cui si nutre”. E ancora, con un linguaggio così efficace che ti immagini il beccaccino possa saltar sù dalle parole “La sua testa deambulante ha un movimento naturale di barcollamento orizzontale e la coda un movimento dall’alto al basso. Cammina un passo dietro l’altro, con la testa alta, senza salterellare né svolazzare, ma è sorpreso raramente in tali movimenti perché si tiene accuratamente nascosto nei canneti e nelle erbe di paludi fangose”.
Una volta in palude si organizzavano battute e parevano le sagre di una caccia che aveva i suoi ritmi ed il suo fascino ed ogni beccaccino staccato dalle nuvole diventava un triste dono del cielo. Oggi non più. Oggi ci son pochi beccaccini e scarso ambiente e senza di loro ciascun fossato sembra inutile, ogni pozza d’acqua creata per nulla e persino le canne delle paludi, le tife, i giunchi e qualche ranuncolo d’acqua fanno un po’ tristezza come fossero cresciuti lì per caso.
La ricerca non è facile. Il cane, dicono in tanti, è il protagonista ma il canovaccio di un racconto ogni volta diverso e sempre affascinante va scritto in due e mai senza il fucile che è, se usato con giudizio, il simbolo e lo strumento della passione autentica.
Soprattutto d’inverno quando ogni fossato sembra uguale agli altri e le piante hanno il colore del freddo. Occorre avanzare con il vento in faccia proprio perché il beccaccino disturbato sale nell’aria contro vento e conquista subito un gran vantaggio rispetto al cacciatore. “Andando a beccaccini raccomandava Gin Bardelli, si volga la schiena al vento ma non alle brezze” “ Le brezze, spiega poi, aiutano i cani avventatori e attutiscono un poco quel faticoso sciaguattare nella mota che mette in allarme e quindi in ala a distanze incredibili anche gli uccelli oramai appaesati”. La prudenza del cane deve necessariamente essere coordinata con il silenzio del cacciatore e quindi al collegamento che si verifica fra i sue nonostante l’ausiliare debba mantenere una certa autonomia di iniziativa. Ed è importante e mai secondaria la resistenza alla fatica che spesso assale cane e cacciatore in condizioni limite. Il beccaccino d’inverno non perdona il cane di scarsa iniziativa.
“Il cane beccaccinista offre uno spettacolo di rara bellezza– scrive Adelio Ponce de Leon l’avvocato- . E’ un artista, un asso. Subito e da lontano si riconosce. Sia che galoppi, trotti, batta gli argini o affondi nei pantani. Lo distingue il portamento di testa, la sicura noncurante con la quale sbriga il terreno privo di selvatici, la trepida ansia con cui affronta le pasture, il cauto filare dell’emanazione lontana, la fulminea ferma sul selvatico presente”. Nei giorni di ghiaccio si proceda lentamente lungo i fossati, ci si avvicini con circospezione alle pozze d’acqua sebbene gelate, si lasci lavorare il cane che dovrà sempre restare ad una distanza utile per il tiro. I beccaccini d’inverno non raramente sono in aria al minimo accenno di ferma del cane. sanno che ogni attimo di attesa rende l’insidia più pericolosa. Nei periodi di tempesta inutile cercarli in luoghi aperti: trovano riparo in zone protette. Se il cielo è livido senza neppur un’ombra di nubi e somiglia alla superficie d’un lago tantochè ti vien voglia di gettarci un sasso per spezzare l’incantesimo o formare tanti cerchi come nell’acqua, scopri il selvatico nei luoghi aperti. “Impara a conoscere i bordi, i fossati, i canali, i canaletti, gli spiazzi ed i luoghi dove non gela mai “ consigliava Gin Bardelli.
Ma soprattutto impara a procedere con calma sicuro facendo del silenzio il miglior complice. Mai rimanere a lungo allo scoperto: cercare appena possibile, ripari naturali anche minimi quali canneti, ripe, alberelli. Se d’improvviso il bacio nel cielo somiglia ad una beffa e lui se ne va sulle ali resta immobile e seguilo con lo sguardo: può accadere abbia interrotto il pasto e, nel cielo, se ne penta tornando per concluderlo. Se si posa a poca distanza non correre: l’esperienza consiglia qualche minuto di attesa per dare al silenzio la voce della campagna, accarezzare il fucile, spiare da che direzione giunge il vento, vestire di speranza la solitudine. Solo o in coppia regge bene la ferma, in branco quando s’alza il primo gli altri lo seguono ma c’è spesso chi si attarda. “Rimane più a lungo acquattato quando, dopo tanta pioggia, oppure un tempo freddo e nebbioso, sopravviene il sole a riscaldare la terra” dice l’Avvocato. Quand’è al tepore del sole o sazio, ricorre alle ali senza la forza e la rapidità che gli sono congeniali. Sotto il cielo di piombo vola a filo dell’erba e ricama due o tre guizzi prima di alzarsi verso un acquerello di nubi o se il fucile lo chiama, concludere con l’ultimo bacio la sua storia raminga.
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BOX
TUTTI I SEGRETI DEL SUO VOLO
Ogni beccaccino ha il suo volo il che significa che cambia così come mutano i giorni, le ore, le circostanze. Perché varia la temperatura ma anche la velocità del vento, i luoghi e la vegetazione che li veste . Eppoi ci sono gli alberi, vicini o lontano che paiono solo ombre. E proprio questa diversità di luoghi scarsamente considerata da molti e quindi il differente comportamento hanno indotto a favoleggiare sul volo come se ogni beccaccino ne avesse uno proprio. “Generalmente- scrive l’Avvocato – a seconda dell’ora in cui i beccaccini si levano sono più o meno nervosi ed irrequieti. Veloci e saettanti al mattino o verso il tramonto,più calmi e tranquilli nelle ore meridiane , dalle 11 alle 15”. La coda formata da un ventaglio di dodici timoniere corte e rotonde e simili a quelle della beccaccia vengono utilizzate come timone, stabilizzatore e freno. La combinazione delle penne della coda e del movimento alare non simmetrico consente al beccaccino variazioni di volo e di accelerazione e riunisce meravigliosamente le caratteristiche della velocità e della irregolarità. L’Avvocato in un suo celebre libro ha sezionato il volo in cinque punti.
– Salto da terra verso l’alto, punto morto, brevissimo e quasi impercettibile.
– Percorso di alcuni metri controvento, in volo diretto, velocissimo, più o meno ascendente, ma se vi sono ostacoli spesso orizzontale.
– Serie di zig zag su un piano orizzontale con oscillamenti su un’alta o l’altra.
– Volo dritto molto ascendente, distante dal punto di distacco della terra.
– Ascende e scompare lontano oppure compie un ampio giro e si avvicina al luogo da cui è partito.
LAUREA DI TIRATORE A CHI FA CENTRO
Il tiro a quest’uccello è la pietra di paragone pel tiratore; ed un cacciatore, il quale esca con lode da questa prova, può dirsi laureato buon tiratore. Se il volo della ‘Beccaccia presenta molte «,variazioni sul tema»quel del congenere minore ne presenta a mille doppi, e di più difficile esecuzione. Artista perfetto devesi essere per eseguire a puntino questa musica! . Nessun uccello ‘ha volo accidentato quanto questo: al suo levarsi, vi eseguirà’ a pochi passi dal naso tre o quattro zig-zag, camminando come la folgore, dopo si alzerà d’un tratto, oppure fatto un grande ‘angolo protrarrà il volo con andatura rettilinea, per alzarsi poi, fin nelle nubi, e d’un tratto di là precipitarsi a capofitto’ verso terra, come se volesse sprofondarsi. Questo pei Beccaccini che conoscono già la musica di Greener. Pei Beccaccini novizi, specialmente per quelli che. si incontrano in agosto, ‘la cosa cambia aspetto. Fino il. che sono vergini delle vostre padelle, fileranno dritti come quaglie; ma poco a poco faranno progressi ‘alla scuola della malizia, ed in breve diverranno maestri. Ai primi non dovete chiedermi come si tira; pei secondi vi dirò francamente che il miglior insegnamento: si è quello che si ha dalla lunga pratica e dal grande esercitarsi. A queste doti, vanno unite disposizione naturale, ed un po’ d’ispirazione. Dei più distinti tiratori al Beccaccino alcuni non sparano fino a che esso non abbia spiegato il volo posato che segue i primi due o’ tre crochets col quale inizia il volo ; altri sparano appena si alza e quando appunto esegue i così detti zig-zag. Quelli che tirano in tal modo, dotati d’una straordinaria prontezza di movimenti e d’occhio, hanno sugli altri il grandissimo vantaggio. /Nicolo Camusso 1887